Come funzionano le malattie neuro degenerative ? Analizzando i processi sull’andamento delle malattie neuro-degenerative, possiamo comprendere come la tecnologia FirSystem®Original possa diventare un trattamento per supportare il trattamento dei sintomi.
Cosa sono le malattie neuro-degenerative ?
Le malattie neuro-degenerative sono patologie del sistema nervoso centrale che comportano la perdita di funzione o la morte progressiva e selettiva delle cellule nervose.
Di conseguenza, in funzione del numero, posizione e tipo di cellule danneggiate, i sintomi di queste patologie possono variare ma l’esito finale è sempre gravemente invalidante. La realtà è che per la stragrande maggioranza di queste malattie non esistono oggi terapie completamente risolutive: l’unica azione concreta che possiamo fare è supportare la ricerca scientifica.
Quali sono le malattie neuro-degenerative?
Le malattie neuro-degenerative più conosciute sono: Malattia di Parkinson, Malattia di Alzheimer, Sclerosi laterale amiotrofica (SLA), Sclerosi multipla.
In effetti sono patologie molto diverse tra di loro e le cui cause non sono ancora del tutto conosciute. L’ipotesi più valida è che abbiano origine da più fattori concomitanti: genetici, ereditari, ambientali.
Si manifestano in diverse modalità in relazione all’area del cervello colpita e del tipo di perdita neuronale.
Per quanto le malattie neuro-degenerative (comprese le forme di malattie rare) siano tra di loro differenti per dinamica e sintomi, possiamo tuttavia delineare alcuni elementi comuni:
- l’inizio della malattia spesso non manifesta sintomi che compaiono solo quando il danno neuronale è già piuttosto grave;
- hanno una progressione irreversibile;
- si possono solo trattare i sintomi.
Se vi state chiedendo quante persone soffrono di malattie neuro-degenerative, il numero di persone affette da neuro-degenerazione è drammaticamente elevato. Per esempio, l’Alzheimer colpisce circa 600,000 persone solo in Italia (e più 5 milioni nel mondo) e questo numero è destinato, in assenza di trattamenti realmente efficaci, ad aumentare drasticamente a causa dell’innalzamento dell’età media e quindi dell’aumento della quota di popolazione a rischio.
I malati di Parkinson invece, superano in Italia le 250,000 unità e, come accade per l’Alzheimer, sopra i 65 anni di età l’incidenza aumenta sensibilmente.
Quali sono le ricerche sulla neuro-degenerazione ? Risultati scientifici e approcci innovativi.
Una caratteristica notevole di diverse malattie neuro-degenerative, come il morbo di Alzheimer e il Parkinson, è la formazione di placche nocive che contengono aggregati di proteine amiloidi, chiamate fibrille.
Purtroppo, anche dopo decenni di ricerca, liberarsi di queste placche è rimasta una sfida erculea. Perciò le opzioni di trattamento disponibili per i pazienti con questi disturbi sono limitate e non molto efficaci.
Negli ultimi anni, alcuni scienziati hanno cercato di superare i limiti delle cure basate esclusivamente sulla farmacologia, e hanno orientato i loro studi approcci alternativi, come ad esempio gli ultrasuoni, per distruggere le fibrille amiloidi e arrestare la progressione del morbo di Alzheimer.
Nello specifico, un gruppo di ricerca guidato dal dott. Takayasu Kawasaki (IR-FEL Research Center, Tokyo University of Science, Giappone) e dal dott. H. Nguyen Phuong (Centre National de la Recherche Scientifique, Francia), e che comprendeva altri ricercatori dell’Aichi Synchrotron Radiation Center e del Synchrotron Radiation Research Center dell’Università di Nagoya, in Giappone, ha usato nuovi metodi dimostrando che l’irraggiamento a laser infrarosso può distruggere le fibrille amiloidi.
Grazie a una serie di simulazioni, gli scienziati hanno osservato che il processo inizia al centro della fibrilla, dove la risonanza rompe i legami intermolecolari di idrogeno, e quindi separa le proteine dell’aggregato. La rottura di tale struttura si diffonde verso l’esterno, alle estremità della fibrilla.
Quali possono essere i benefici dell’effetto sauna a infrarosso sul Morbo di Parkinson.
Secondo i dati più recenti, il Morbo di Parkinson colpisce circa 8 milioni di persone nel mondo (in Italia oltre 250 mila), il 2% della popolazione con più di 65 anni e fino al 5% degli over 80, e secondo le previsioni il numero è destinato ad aumentare fino al doppio per via dell’invecchiamento della popolazione. Si parla, infatti, di 15 milioni di persone colpite entro il 2050.
Il morbo di Parkinson è una malattia neuro-degenerativa che ha un’evoluzione lenta ma progressiva e che trasforma le persone, giorno dopo giorno, stravolgendo equilibri e abitudini di intere famiglie.
A partire dalla degenerazione delle cellule nervose, può coinvolgere diversi aspetti della funzionalità: cognitiva e motoria innanzitutto, ma anche di altro tipo, come disturbi intestinali, urinari, del sonno, dell’umore e la lista è lunga. Si manifesta quando la produzione di dopamina nel cervello cala consistentemente.
Dal momento in cui la dopamina è il neurotrasmettitore che controlla il movimento, una minor produzione di questa sostanza causa di conseguenza una riduzione complessiva dell’uscita dei segnali motori.
Dal midollo al cervello cominciano a comparire accumuli di una proteina chiamata alfa-sinucleina e il risultato, alla lunga, è quel camminare lento, rigido e tremolante che tanti associano alla malattia.
La terapia farmacologica dopo un numero variabile non è sempre in grado di fornire un controllo motorio stabile e via via i pazienti iniziano ad avvertire la fine dell’effetto della singola somministrazione, un fenomeno chiamato “deterioramento da fine dose o wearing off”.
Una novità che aumenta la speranza : Terapia della fotobiomodulazione
La ricerca neuroscientifica oggi affina le armi contro questa malattia: uno studio tutto italiano condotto dall’lstituto San Celestino®, in collaborazione con Cerebro® e presentato al 48° Congresso Nazionale SIMFER (Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa) ha infatti dimostrato che la riabilitazione fisioterapica combinata con il trattamento di fotobiomodulazione permette un miglioramento di tutti i sintomi, maggiore rispetto a quello ottenuto con la sola fisioterapia.
Che cos’è la fotobiomodulazione ?
Come spiegano gli autori della ricerca, il dottor Samorindo Peci, la dottoressa Federica Peci e la biologa Rosjana Pica, la fotobiomodulazione è una tecnica di stimolazione cerebrale, non invasiva e indolore che, attraverso vari processi biochimici, agisce generando la modulazione dei processi neuroinfiammatori e agendo sulla sintomatologia che questi causano.
Proviamo a spiegarne meglio il meccanismo con le parole degli esperti
«È una tecnica che prevede l’esposizione dei tessuti neurali a una luce rossa o nel vicino infrarosso, a basso flusso. Questa luce attraversa una serie di strati, lo scalpo, il periostio, le ossa del cranio, le meningi e la dura madre, fino a raggiungere la superficie corticale cerebrale, e in questo modo, a determinati parametri (lunghezza d’onda, irradiazione, tempo di esposizione, etc..) modula il metabolismo delle cellule, allevia l’infiammazione, aiuta a prevenire la morte tissutale e dunque migliora le funzioni cerebrali.
Tra gli effetti documentati della fotobiomodulazione- affermano gli autori della ricerca- vi sono benefici sulla circolazione sanguigna a livello cerebrale, sul metabolismo dei neuroni, lo stress ossidativo e la formazione di nuovi neuroni.
Supportati dai risultati ottenuti da questa tecnica innovativa nei processi che hanno alla base l’infiammazione neuronale, abbiamo spinto la nostra ricerca: per un periodo di 4 settimane abbiamo sottoposto un gruppo sperimentale di pazienti con Parkinson a terapia fisioterapica, unita a un trattamento di fotobiomodulazione.
Ebbene, anche in questo caso il passaggio di luce sull’intera area cerebrale-corticale ha confermato l’importante apporto in termini terapeutici: dai risultati è emerso un miglioramento dell’equilibrio e dell’andatura dei pazienti, una riduzione del tremore, che è stata oltretutto parzialmente mantenuta fino a dopo un mese, minor sonnolenza, minor affaticamento e una ridotta sensazione del mancamento tipico dei pazienti nell’assumere la posizione eretta.»
BIBLIOGRAFIA: